da Limes – rivista italiana di geopolitica

di Carlo Di Franco*

Il governo brasiliano non intende rinunciare alle opportunità derivanti dallo sviluppo di un’industria nazionale dell’arricchimento dell’uranio, che, considerando le riserve di minerale e l’alto livello tecnologico già raggiunto, faranno del Brasile un grande esportatore di materiale fissile e di tecnologia. Stessa determinazione per altri programmi nucleari in sviluppo, anche a fini militari.

Negli ultimi anni l’opinione pubblica mondiale ha assistito con certa sorpresa all’attivismo del governo Lula nello scenario internazionale, volto a perseguire senza complessi di deferenza una politica estera sovrana ed interessi autonomi di potenza regionale e di player globale. Gli interrogativi maggiori derivano da alcune prese di posizione brasiliane in tema di sicurezza globale nucleare, ma andiamo con ordine.

Nel 2004, a causa di un’ispezione di routine, si è avuta una crisi con l’Agenzia Internazionale Energia Atomica (AIEA), per il rifiuto di consentire ai tecnici dell’Agenzia l’accesso totale alle istallazioni di ricerca nucleare a Resende, Stato di Rio de Janeiro. Le autorità brasiliane non permisero le ispezioni alle attrezzature di centrifugazione per tutelare segreti tecnologici in tema di levitazione elettromagnetica. Dopo mesi di trattative, si trovò un compromesso sostanzialmente favorevole alle istanze brasiliane: la AIEA avrebbe controllato la composizione dei gas in entrata ed uscita dalle centrifughe, ma non esse stesse. L’allora Segretario di Stato americano Colin Powell, giustificò il cedimento dichiarandosi “sicuro” che il Brasile non avesse in programma di sviluppare armi nucleari e due anni dopo il successore Condoleeza Rice confermava di “non preoccuparsi dell’ipotesi che il Brasile cercasse di ottenere armi nucleari”.

Da dieci anni il Brasile resiste a pressioni internazionali affinché firmi il Protocollo Aggiuntivo agli Accordi di Salvaguardia del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che permetterebbe ispezioni non programmate da parte dell’AIEA in un gran numero di istallazioni. Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le prese di posizione di alti responsabili governativi che motivano l’inopportunità dell’adesione brasiliana. Prima tra tutte quella del Ministro Capo della Segreteria Affari Strategici (organo consultivo dipendente direttamente dalla Presidenza della repubblica) Samuel Pinheiro Guimarães, per il quale il TNP, di cui il Brasile è firmatario dal ‘97, è un trattato ingiusto per privilegiare le potenze che già dispongono di armi nucleari e “l’accettazione del regime d’ispezioni equivarrebbe a delitto di lesa patria”. Nessuna sorpresa quindi anche per il diniego alla proposta di moratoria per nuovi impianti di arricchimento.

Negli ultimi mesi il Brasile si è reso protagonista, assieme con la Turchia , del noto tentativo diplomatico volto a cercare una soluzione al dossier Iran. Con esso si è di fatto posto in opposizione dialettica ai tentativi del Presidente Obama di aggregare consenso intorno alla tesi occidentale di bloccare gli avanzamenti iraniani in tema nucleare. In questa primavera il governo americano ha compiuto un notevole sforzo per una maggiore cooperazione volta ad arginare la proliferazione e per la messa in sicurezza di tutti i materiali nucleari. Ha voluto collocare la questione nel quadro multilaterale del diritto derivante dal TNP ed ha a sua volta assunto importanti impegni, quali la riduzione di testate atomiche (Trattato russo-americano di Praga) ed una nuova dottrina nucleare, limitativa dei casi in cui si farebbe uso dell’atomica. L’accordo tra Brasile, Turchia e Iran, volto a consentire a quest’ultimo di scambiare 1.200 kg di uranio iraniano leggermente arricchito al 3,5% per 120 kg di combustibile arricchito al 20% per il reattore nucleare di ricerca medica di Teheran, ha avuto per molti il sapore della sfida alla politica delle potenze occidentali, che infatti lo hanno ricusato come insufficiente e hanno deciso di imporre sanzioni all’Iran. Ulteriori interrogativi ha posto poi la conseguente ma arrischiata posizione di difendere l’Iran e di votare contro le stesse sanzioni nel Consiglio di Sicurezza ONU, dove il Brasile occupa uno dei seggi a rotazione.

Il governo Lula ha ridato vigore dal 2006 al programma nucleare energetico, che ristagnava dal 1985, con la decisione di investire US$ 8,4 miliardi per completare la costruzione della centrale Angra 3 (sospesa per 2 lunghi decenni) e la previsione di 4-8 nuove centrali nucleari (fino a 10 GW di potenza totali) al 2020 ed ulteriori 40 centrali al 2060. Da rimarcare è la determinazione di una via nazionale, che renda il Paese completamente indipendente, tanto tecnologicamente quanto per la capacità industriale, nell’intero ciclo di produzione del combustibile nucleare. Questa attitudine è aspramente criticata da vari osservatori internazionali, che vi ravvisano motivazioni non economiche ma strategiche o militari. Peraltro, la vocazione “autarchica” è intrinseca al programma di sviluppo, avviato nel 2007, di una flotta di sommergibili nucleari, che saranno varati a partire dal 2020.

In una recente intervista alla BBC il Ministro di Scienza e Tecnologia Roberto Amaral, rispondendo ad esplicita domanda, dichiarava: “rinunciamo alla produzione di artefatti militari ma non possiamo rinunciare alla conoscenza scientifica”; confermando poi che vi include “la conoscenza per la fabbricazione della bomba atomica”. Di più: a Isto è Dinheiro, il Vicepresidente della Repubblica José Alencar ha asserito l’importanza dell’arma nucleare come strumento dissuasivo per un paese con 15 mila km di frontiere ed una piattaforma continentale ricca di petrolio (pré-sal) di quattro milioni di km2.

I programmi nucleari brasiliani

Negli anni ‘50, Brasile e Stati Uniti avviarono un accordo di cooperazione nucleare nel quadro del Programma Atoms for Peace: il Brasile ricevette due reattori di ricerca e poi, nel 1971, il suo primo reattore di potenza, ad Angra 1, dalla Westinghouse Electric. Il governo brasiliano decise di investire fin dai primi anni ‘70 per dotare il paese di piena capacità nel ciclo del combustibile nucleare, nella produzione di reattori di ricerca e di potenza, e nel ritrattamento del combustibile nucleare esaurito. La prima finalità era l’aumento dell’offerta energetica, ricorrendo alle grandi riserve minerarie di uranio e torio. L’ accordo multimiliardario di cooperazione di settore con la Germania , avviato nel 1975, prevedeva la realizzazione in 15 anni di otto reattori così come il trasferimento del completo ciclo industriale del combustibile con la tecnologia di arricchimento tramite ultracentrifugazione. A quel tempo il Brasile non era firmatario del TNP e l’affare fu fortemente osteggiato dagli Stati Uniti: il trasferimento tecnologico in Brasile fu impedito per le pressioni americane e la promettente tecnologia di arricchimento per ultracentrifugazione fu sostituita con la “jet-nozzle”, che non sarebbe uscita dallo stadio di prototipo. Si ebbe così lo spreco di ca. US$ 100 milioni dell’epoca per l’impianto di arricchimento con questa tecnologia non competitiva ed il forte ritardo nell’inaugurazione delle seconda centrale, Angra 2.

Anche per quest’esperienza, i governi militari decisero di avviare un altro programma nucleare che non dipendesse da tecnologie straniere né limitato da misure di sicurezza internazionali: il così detto “programma parallelo”, contraddistinto da forte riservatezza. Sebbene vi furono fazioni militari interessate ad acquisire armi nucleari, il programma aveva principalmente finalità civili. Esso coinvolse le tre Forze Armate brasiliane oltre a centri di ricerca civili ed industriali. L’Esercito aveva piani per un reattore ad uranio naturale moderato a grafite, l’Aeronautica avviò ricerche su un metodo di arricchimento mediante laser. Ma fu il programma della Marina, che adottò l’ultracentrifugazione, ad avere maggior successo. Aveva individuato la necessità di operare con sottomarini a propulsione nucleare, nella convinzione di dotarsi di tutte le infrastrutture necessarie: basi di supporto, produzione e manutenzione delle componenti principali, mentre la dipendenza dall’estero avrebbe comportato vulnerabilità logistica. Dagli stessi anni un programma strettamente riservato di armi nucleari (con tanto di sito per test di esplosioni nucleari nel cuore dell’Amazzonia rimasto segreto fino al 1986) fu perseguito fino all’insediamento dei governi civili nel 1985.

Attualmente la Marina gestisce il Centro Sperimentale di Aramar, Stato di San Paolo, assieme alla Commissione Nazionale Energia Nucleare (CNEN), e la Fabbrica di Combustibili Nucleari a Resende, Stato di Rio de Janeiro, insieme alla Industrie Nucleari del Brasile (INB) dal 2000, da quando cioè è stata trasformata in impresa commerciale. Qui nel 1993 il Brasile arricchì l’uranio per la prima volta entrando nel ristrettissimo club di paesi che dispongono d’impianti di centrifughe a scala commerciale dominando tutte le tappe della fabbricazione del combustibile nucleare. Ma soprattutto utilizzando la tecnologia detta di levitazione elettromagnetica in cui l’asse centrifugo non è meccanico, ma appunto, elettromagnetico, permettendo ai rotori (cilindri rotanti che sono il cuore di queste macchine) di fluttuare e girare senza attrito con minori consumi e maggior efficienza e durata. Tecnologia che i brasiliani vantano essere 100% locale, costituisce un caso di successo per il Paese e che ha implicato altri avanzamenti quali acciai ad alta resistenza e valvole speciali operanti con sostanze corrosive. Ecco che la riservatezza su alcuni segreti tecnologici ha un suo fondamento anche rispetto agli ispettori dell’AIEA, i quali, d’altro canto, non possono non rilevare che Resende potenzialmente può produrre abbastanza uranio altamente arricchito per alimentare tra 26 e 31 testate annue.

Domanda e fornitura di materiale fissile: alla ricerca dell’autosufficienza (ed oltre)

Sebbene il Brasile domini la tecnologia utilizzata per produrre combustibile nucleare, alcuni passaggi sono ancora effettuati all’estero per alimentare le due centrali operanti di Angra 1 e 2. Il Paese produce minerale di uranio, lo “yellow cake”, che manda allo stato grezzo in Canada, dove è gassificato e arricchito per poi tornare in Brasile ed essere trasformato in “pastiglie” utilizzate per il funzionamento delle centrali. Con l’aumento della potenza installata dagli attuali 2 GW di Angra 1 e 2 ai 3,4 GW del 2015, quando diverrà operativa Angra 3, e poi con le successive centrali previste, si porrà un problema di approvvigionamento del materiale fissile. Inoltre c’è da alimentare il futuro reattore di ricerca di Iperò (Stato di San Paolo) con cui il Paese sarà autosufficiente nella produzione di isotopi radioattivi per diagnostica e trattamenti medici. La CNEN già oggi esaudisce una domanda annua di 2 milioni di procedimenti medici con radiofarmaci ed altre applicazioni quali l’irradiazione di alimenti e la disinfestazione.

Punto saldo della politica industriale del governo Lula è di sviluppare le industrie a partire dalle materie prime di cui il paese ha disponibilità e scoraggiare l’esportazione di materie prime o semi-grezze: questo vale anche per le risorse energetiche. Il governo pretende utilizzare le riserve nazionali di minerale di uranio come materia prima per le sue centrali ed al contempo gestirne i processi di arricchimento. Dette riserve sono ingenti e molto superiori alla domanda interna in qualsiasi scenario: 310 mila tonnellate accertate, le seste al mondo, ma attese essere le seconde o le prime quando sarà mappato tutto il territorio nazionale.

Alcuni osservatori internazionali argomentano che, grazie alla attuale maggior offerta rispetto alla domanda di servizi di arricchimento, sarebbe economicamente ben più conveniente acquistare tali servizi all’estero, considerata la modesta (attuale) domanda brasiliana di materiale fissile. L’argomentazione potrebbe valere per un’economia europea, laddove non sono previsti grandi aumenti della domanda energetica, ma risulta ben più debole per un paese emergente dove si prevede un aumento della generazione di energia elettrica del 68,7% (da 112 GW a 189 GW) nei prossimi 10 anni. Inoltre non considera l’opportunità di esportare materiale fissile e tecnologia: oggi circa il 90 per cento delle centrali nucleari del mondo dipendono da servizi di arricchimento per il loro combustibile. È un mercato globale di US $ 5 miliardi annui, in crescita, in cui il Brasile spera di partecipare in futuro con ruolo di protagonista: si vuole inserire nel novero ristretto dei pochi Paesi esportatori di uranio arricchito, servizi, macchinari e forniture per centrali atomiche.

Implicazioni di politica internazionale

A questo punto proviamo a vedere come il governo brasiliano e buona parte dell’opinione pubblica percepiscono gli equilibri geopolitici relativi al dominio delle tecnologie atomiche. Ci sono nel mondo cinque potenze (USA, UK, Russia, Francia e Cina RP) dotate di armi atomiche, che si sono riservate con il trattato TNP il diritto di proseguire qualsiasi ricerca ed avanzamento e, al tempo, operano per concentrare l’arricchimento di uranio e per limitare produzione e ricerca di altri paesi. La partita sarebbe puramente industriale, volendosi impedire l’avanzamento di nuovi concorrenti e cercando di rafforzare un oligopolio già esistente. Un pugno di altre potenze (europee e/o occidentali) con buon livello di dominio tecnologico e partner delle potenze ne condividono le scelte politico-commerciali. Altre quattro potenze (India, Pakistan Israele e Nord Corea) si sottraggono al regime internazionale del TNP semplicemente non sottoscrivendolo (trattandosi di diritto internazionale pattizio e non generale, hanno piena facoltà di farlo).

Questo “regime asimmetrico” sarebbe particolarmente pregiudizievole per i paesi che soddisfano le seguenti condizioni: padroneggiano il ciclo di arricchimento, dispongono di grandi riserve di minerali di uranio, non si trovano tra le potenze nucleari “oligopolistiche”. Solo tre paesi al mondo soddisfano le prime due condizioni: USA, Russia e Brasile. E solo il Brasile tutte e tre. Ecco spiegata la crescente insofferenza verso il TNP ed il citato Protocollo sulle ispezioni, visto come strumento di revisione camuffata del TNP, potendo perfino implicare – si afferma – la centralizzazione dei processi di arricchimento in installazioni internazionali. Accettarlo significherebbe contravvenire ad una “conditio sine qua non” dell’adesione brasiliana al TNP: il diritto di sviluppare tecnologie per l’uso pacifico dell’energia atomica. La tesi del governo Lula (esposta recentemente alla Conferenza di Washington sulla Sicurezza Nucleare e al Summit del Gruppo BRIC) è che questo diritto spetta a tutti i paesi emergenti … Iran compreso.

Altra “conditio sine qua non” (inserita nella ratifica del TNP) è il disarmo generale, già presente nel testo del TNP (art. VI) firmato nel 1968, confermato dalla V Conferenza per la Revisione e la Proroga del TNP (1995) laddove lo scopo finale del processo di disarmo consiste nella “totale eliminazione delle armi nucleari sotto effettivo controllo internazionale”. Nel corso della VI Conferenza (2000), il Brasile assunse un ruolo di leader nella New Agenda Coalition (NAC), gruppo di nazioni che chiedeva alle potenze nucleari di dare nuovo impulso alla realizzazione degli obiettivi del TNP, anzitutto quello del disarmo nucleare completo. In definitiva, si afferma in ambienti governativi ed accademici, sono le potenze con arsenali atomici a non adempiere agli obblighi del trattato, creando un precedente per i paesi che possano avere la tentazione dell’arma nucleare.

*Carlo Di Franco è specialista in commercio estero e finanza internazionale, momentaneamente in Brasile per effettuare ricerche sullo sviluppo del locale mercato dei crediti di carbonio e sulle politiche correlate

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